Oltre all’intensivo lavoro sulla ricerca di un vaccino che possa aiutare a debellare il virus, tanti paesi nel mondo si stanno adoperando nel mettere a punto un sistema di prevenzione e consapevolezza.
Mentre per il primo ci sono ancora grossi ostacoli da superare e la ricerca è ancora ferma in fase di studio e sperimentazione, con notevoli contrasti di natura geopolitica, per il secondo sembra essere chiaro lo strumento sul quale poter puntare.
Se ne parlava già in piena fase1: applicazioni gratuite da poter scaricare sul proprio smartphone e che possano permettere il tracciamento dei soggetti affetti da coronavirus.
In Italia parliamo della app Immuni. Come funziona?
Per spiegarla in maniera semplice la app registra per 14 giorni gli eventuali contatti con persone positive al Covid-19.
Questo può essere garantito attraverso la segnalazione spontanea alla app da parte dei soggetti che sono risultati positivi ai tamponi.
Google ed Apple, i due colossi che si dividono il mercato software dei dispositivi telefonici come contribuiscono materialmente a rendere queste applicazioni fruibili da ogni cittadino?
Semplicemente rendendo accessibile la loro API.
L’importanza delle APPLICATION PROGRAMMING INTERFACE
Per chi non mastica bene l’informatica, le API non sono altro che degli strumenti che permettono ai programmatori di poter espletare un compito all’interno di un programma o di siti internet.
Questi strumenti sono a volte aperte e fruibili come ad esempio con Facebook: vi è mai capitato di iscrivervi su determinati siti internet tramite account di Facebook senza dover immettere mail e dati personali?
Ecco, questo accade per merito delle API.
Dunque, come dicevamo, Apple e Google tramite gli ultimissimi aggiornamenti ai loro sistemi operativi, permettono l’accesso alle loro API da parte delle applicazioni governative di tracciamento.
I vari dispositivi possono così “dialogare” tra loro e fornire, con una notifica della app, eventuali contatti con persone infette.
Ovviamente “nessun rischio per la privacy del cittadino“, assicurano le autorità che spiegano come i programmi non facciano uso del gps integrato negli smartphone e come i dati trattati non vengano attribuiti all’identità dell’utente, ma ad una serie di codici che cambiano continuamente.
La fase 2 sarà un ottimo terreno per valutarne o meno l’eventuale successo.